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IV Domenica di Pasqua. Pescantina, 13 aprile 2008

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Messaggio Da don Giorgio Zampini Sab Apr 12, 2008 5:38 pm

IV Domenica di Pasqua. Pescantina, 13 aprile 2008 Images12

La quarta domenica di Pasqua è tradizionalmente legata alla contemplazione dell’immagine del Cristo buon Pastore.
Un’immagine che da 45 anni il Magistero della Chiesa ha voluto divenisse anche preghiera di supplica per le vocazioni sacerdotali e religiose affinché la comunità dei credenti non rimanga priva di quelle persone che per il loro ministero, servizio, possano essere coloro che, insieme a tutti i fedeli laici, continuassero nel mondo di oggi a far posto all’unico Pastore per l’umanità.
Perciò un primo concreto invito consiste proprio in un incoraggiamento ad essere cristiani capaci di annunciare oggi la presenza di Dio nel mondo con la nostra vita di fede autentica e attenta agli insegnamenti della Parola di Dio. Capite bene che questo la dice lunga anche in queste giornate particolari per la nostra nazione.
Ma accostiamoci a quest’immagine cercando di carpirne alcuni tratti e atteggiamenti che diventino motivo per rinnovare il nostro essere pecore del Buon Pastore.
Giovanni ricorda del Cristo Pastore due immagini: la porta e il pastore.
IO SONO LA PORTA: Gesù si identifica come la porta che apre alla vita con Dio oggi e alla fine dei tempi. E’ Cristo la porta per la vita.
IL PASTORE (nella seconda lettura) delle pecore: Gesù è Colui che conduce fuori e riporta nel recinto per farci vivere nella vera libertà la nostra vita.
Vita e libertà sono i doni, i valori, sui quali noi siamo chiamati ad impostare tutta la nostra vita. Ma è necessaria l’accoglienza del pastore. Infatti Giovanni sottolinea che in questo recinto c’è un GUARDIANO che apre la porta al Pastore perché possano ascoltare la sua voce.
Possiamo dunque chiederci perché serve un guardiano che apre la porta? Quel guardiano è necessario per due motivi. Uno lo vediamo adesso, l’altro fra qualche momento.
Il primo motivo: il guardiano apre perché riconosce la voce del Pastore che chiama le sue pecore ciascuna per nome.
Quel guardiano è immagine di ciascun cristiano che riconosciuta la voce del Pastore, di Cristo, si adopera perché le pecore possano andare al pascolo con il giusto pastore. Ma questo guardiamo è immagine dei genitori che sono chiamati con la loro vita a testimoniare, a parlare, a spiegare ai propri figli chi è il Pastore e quale è la sua voce. Molti ci riescono, ma tanti purtroppo no. Ecco allora che il gregge ha bisogno delle pecore che siano capaci di fare da traino a tutto il gregge con il richiamo giusto affinchè possano avvicinarsi tutte al pastore.
Ecco perché è necessaria la testimonianza di fede vera che porti a scegliere se andare o meno con il Pastore. E’ chiaro che rimane sempre un dolore grande e forte la perdita delle pecore, ma l’importante è scegliere e noi non possiamo non farci carico di una simile missione che ci è stata affidata da Dio. La fede pasquale richiede il coraggio di Pietro che senza tante mezze misure si alza e spiega chi è Cristo ai suoi concittadini affinchè scelgano da che parte stare.
Allora il compito del guardiano è un compito impegnativo, ma necessario perché deve preparare l’accoglienza del pastore.
E questo guardiano deve possedere alcune caratteristiche per compiere il suo lavoro bene: essere aperto alla libertà, all’amore, alla vita, che sa ascoltare la voce.
Essere aperto alla libertà: il cristiano deve dare testimonianza del saper scegliere fra alternative, cercando di ascoltare “il cuore” nel quale dimora la Parola di Dio che permette scelte eticamente e moralmente giuste. La libertà sarà sempre maggiore, quanto maggiore sarà la nostra amicizia con Dio, tenendo tranquillamente presente che scegliere il bene è contrario alla natura umana che tende all’egoismo.
Il guardiano dev’essere aperto all’amore: potremo dire, tenendo conto del suo servizio di aprire la porta al Pastore, egli dev’essere un innamorato di Dio. Questo amore significa obbedienza al Pastore. Eppure talvolta come cristiani non ci mettiamo alla scuola del nostro Maestro e Pastore e viviamo la nostra vita cristiana un po’ a casaccio appoggiando talvolta dottrine che sono precetti di uomini nella maggioranza dei casi insulsi.
Il guardiano deve essere aperto alla vita: potremo tradurre alla speranza. Il guardiano apre la porta e accoglie il pastore perché Egli è la speranza per le pecore. Nelle nostre comunità c’è un diffuso e acuto senso della precarietà del presente e dell’incertezza del futuro. Anche i cristiani rischiano di appiattirsi sul presente, di concentrarsi sull’«attimo fuggente», senza slanci, senza investire in una progettazione della vita di ampio respiro, accontentandosi di perseguire obiettivi immediati.
La speranza può venir meno per diverse ragioni. Si perde quando si percepisce la vanità dell’esistenza o si constata che il mondo non cambia mai: gli arroganti sono sempre più arroganti e i poveri sempre più poveri; la Parola di Dio pare più debole, la sua logica perdente, incompresa, rifiutata. La speranza si affievolisce quando verifichiamo in noi stessi la ripetuta esperienza del peccato, un peccato ostinato, incrostato, che non riusciamo a scrollarci di dosso. La speranza è impedita dal peso di un passato che ci schiaccia e ci imprigiona, dal ricordo dei peccati commessi, del tempo sprecato, degli errori… Questo ci porta a pensare un futuro chiuso, senza sbocchi.
Una società in cui scompare l’orizzonte della speranza, vede crescere i fenomeni di violenza, le spinte distruttive, il nichilismo, cioè l’individualismo anarchico, la rassegnazione e il conformismo, l’indifferenza verso gli altri, l’individualismo. Nessuno ha più tempo né per sé, né per gli altri; nessuno si prende tempo; incapaci di attendere, si diventa facili prede di un fatalismo che corrode l’anima. Con la sua enciclica Spe salvi, il Papa ci invita a reagire con una «riscossa della speranza». La speranza comporta quindi un progetto e una responsabilità, cioè prendersi cura delle cose concrete e impegnarsi per trasformarle e renderle sempre più conformi al disegno di Dio. Sono il pane e il vino i simboli che Gesù propone quali immagini del futuro, come l’oggetto della speranza cristiana. Qui l’uomo aggiunge il suo lavoro, la sua cura, la sua fantasia. L’Eucaristia per vivere e sperare ci aiutano a stare attenti ai ladri e briganti. Abbiamo sentito che essi non entrano per la porta, ma salgono da un’altra parte. Questi ladri e briganti sono coloro che si impongono con la violenza anche della parola e poi si fanno chiamare benefattori per coprire le loro malefatte.
Ma un cristiano attento sa che nel recinto, nel cortile di questo mondo dove si vivono le vicende quotidiane può trovare la vita, la salvezza aprendoci alla luce della verità che è Cristo stesso, la sua Parola che continuamente leggiamo, ascoltiamo. Essa è la porta per uscire definitivamente dalla schiavitù in cui è immersa questa nostra società ricca di promesse banali, fatte con toni sciocchi che indicano la bruttezza dell’egoismo.
Il Buon Pastore o il pastore bello è l’unico ancora oggi ad essere una persona autentica, che sa fare il proprio lavoro, che fa vedere il suo modo di essere esemplare per la vita di famiglia, per l’amore, per l’esistenza di ciascuno.
Facciamo nostri l’inviti dell’Apostolo Pietro alla conversione che negli Atti degli Apostoli significa adesione piena e totale al Cristo Signore, perché invocandoLo possa effondere lo Spirito Santo perché cresca una vera comunità cristiana, una vera comunità civile.
Ecco la vera vocazione alla vita che dobbiamo sempre difendere, perché essa è libertà, amore, speranza e non si possono accettare le parole che dicono questi valori svuotate di Cristo. La libertà diventa schiavitù dell’amore trasformato in egoismo passato come diritti democratici e la speranza diventa precarietà.
Per questo è necessaria come dicevo all’inizio la figura del guardiano e qui vogliamo infine contemplarne il secondo motivo. Nella prima lettera di Pietro l’apostolo conclude sottolineando come ora noi “siamo stati ricondotti al pastore e custode delle nostre anime”.
Cristo dunque non è solo il Pastore ma diventa Egli stesso il custode, il guardiano delle nostre anime. Custode in greco si dice episcopos, cioè vescovo. Qui nasce la preghiera per le vocazioni alla vita sacerdotale o religiosa.
I vescovi, i presbiteri, i diaconi e tutti i religiosi sono chiamati a continuare questa missione di Cristo affinchè “le anime non si perdano”. Da qui scaturisce subito la necessità della preghiera per coloro che hanno consacrato la vita a Dio perché siano fedeli al loro ministero nella Chiesa, ma scaturisce come dice il Papa Benedetto XVI la necessità che nelle comunità cristiane non venga mai meno una costante educazione alla fede dei fanciulli e degli adulti; è necessario mantenere vivo in noi un’attenzione particolare perché non manchino i ministri ordinati e consacrati nella Chiesa. Occorre pregare personalmente e nella liturgia, cercare di aiutare i più giovani a vivere la carità offrendo gratuitamente il tempo per gli altri a partire da quelli di casa, non aver paura ad educare alla fede come invece avviene anche in molte famiglie del nostro paese di Pescantina, cercare di aiutare a comprendere anche la possibilità per i giovani di poter scegliere una vita di particolare consacrazione a Dio per il bene dei fratelli.
Solo in un terreno spiritualmente ben coltivato fioriscono le vocazioni al sacerdozio ministeriale e alla vita consacrata.
Se da una parte ci sono i religiosi di vita contemplativa che intercedono per questo scopo per l’intera umanità, anche noi non dobbiamo stancarci di pregare.
Le vocazioni diminuiscono per vari motivi non certo legati all’aspetto materiale della vita, ma diminuiscono per la mancanza di fede, per l’indifferenza non tanto verso la Chiesa, ma verso Cristo e ciò rischia di essere un peccato.
Talvolta si pensa che donare un figlio o figlia alla Chiesa sia una vita sprecata, chiusa, priva di senso, di futuro, quasi che Dio non sia capace di costruire un bel futuro a chi in maniera particolare si mette nelle sue mani; sembra che il celibato o la scelta della castità sia una disgrazia in questo mondo in cui il “fare sesso” ha ridotto l’amore ad uno schifo, distruggendo la vita e le famiglie, arrivando ad andare anche contro natura nella scelta ad esempio dei tipi di famiglia che possono esistere.
La scelta della vita consacrata invece è utile per dire al mondo la bellezza di poter vivere l’amore che sta alla base della vita personale, della famiglia, della vita.
E’ il tesoro più grande delle nostre anime che siamo chiamati a custodire.
Preghiamo dunque per le vocazioni alla vita sacerdotale e religiosa con coraggio e aiutiamo i più giovani a comprendere i grandi e non gli effimeri valori su cui impostare la vita.
Per questo il Papa invia una speciale benedizione apostolica per coloro che operano con fede e generosità al servizio delle vocazioni, specialmente ai giovani in cammino vocazionale.
Possa questa benedizione arrivare anche ai quei genitori che con tanta generosità, pur nella trepidazione, sanno aiutare un figlio a costruire la vita mettendola totalmente nelle mani di Dio, per Dio e per i fratelli.
Le statistiche testimoniano, dice il Papa, che il numero dei battezzati aumenta ogni anno soprattutto dove avviene il primo annuncio della vera fede.
Il Signore, perciò, ci aiuti ad essere CUSTODI di questo grande dono che ci ha lasciato perché il suo Vangelo raggiunga il cuore degli uomini.
Amen!
don Giorgio Zampini
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